Una campagna di
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Il documentario "DAL CÀOS" esplora la memoria frammentata e il disorientamento attraverso il diario intimo dell’autore-regista che ritorna nella sua città natale (volutamente mai nominata), compiendo un viaggio di osservazione, un racconto in voce fuori campo fatto di incontri, di visioni narrate come un flusso di coscienza, di riflessioni e immersioni, creando diversi piani narrativi dentro una città che appare e scompare tra domande sospese. Il filo immaginifico è costituito dai cosiddetti “filmini di famiglia”, vecchie pellicole perlopiù senza sonoro, ripescate nelle cantine e nelle soffitte, databili dai primi anni cinquanta fino alla fine degli anni settanta del Novecento, e che sono tutte quelle riprese amatoriali che hanno raccontato piccole porzioni di vita quotidiana con al centro la famiglia quale “attore principale”.
Lo spunto nasce dalla visione de “La forma della città” di Pier Paolo Pasolini, in cui il regista mostra al suo attore (Ninetto Davoli) la medievale città di Orte per sottolinearne la sua perfezione estetico-architettonica, per poi allargare il campo visivo e mostrare primi segni di speculazione edilizia. L'autore (il sottoscritto), nel suo film, punta l'obiettivo della camera sulla massiccia e invasiva presenza di palazzoni affastellati della sua città, che a partire dagli anni sessanta del secolo scorso ne hanno sfregiato il volto, divenendo da subito simbolo di speculazione e malaffare. Anteponendo l'interesse personale a quello della collettività, si è consolidata nei decenni una cultura politica del potere come pratica clientelare e familistica.
La domanda è: quanto, facendo tesoro delle esperienze buone e cattive, la memoria agisce come consapevolezza e argine ai nostri errori, alle nostre mancanze, alle storture?
Un film sulla memoria frammentata, come i fotogrammi di queste pellicole riemerse dalla dimenticanza e dal deterioramento del tempo. Una riflessione su ciò che ci sfugge, che non cogliamo o sottovalutiamo. Sulla disattenzione. Il caos può essere dissoluzione ma anche movimento, nascita, morte e ancora rinascita. La ricostruzione della memoria e della storia, la re-invenzione, somigliano a un puzzle che ridisegna un precorso che crea e ricrea una trama.
I filmini di famiglia che scorrono lungo tutto il film in maniera spesso decontestualizzata dalle parole, ma non per questo casuale, con la loro “sporcatura", la perdita di fotogrammi, l'abbondare di artefatti che vagano, fanno da contraltare ad un presente algebrico, preconfezionato, binarizzato, troppo spesso omologante e stabilito da dispositivi imposti. Il sogno fruga il passato che non possiamo cancellare. L’assenza di sonoro, piccolo cinema muto familiare, è il reperto mancante da cercare: una scrittura da reinventare.
La metafora di un tesoro nascosto nel film, e la sua formula per trovarlo, la bramosa ricerca, rischiano di condurci ad una esistenza superficiale che guarda ad un interesse esclusivamente personale. Se esistono altri modi, altre possibilità di guardare il mondo, di viverlo, dipende dalle scelte che facciamo. La libertà è "un'inquadratura del contesto che ci narra l'istante di tutti gli elementi possibili, che partecipano alla riuscita della composizione.
Tutto il lavoro, dalla scrittura fino al montaggio, comprese diverse fasi di ripresa, è stato realizzato dal sottoscritto. Si tratta fondamentalmente di documentario di montaggio, poiché molto si basa su materiale di archivio. Il documentario è già in una fase di montaggio avanzato. Alcune riprese definitive devono essere ancora realizzate. La fase finale consisterà di due aspetti principali della cosiddetta post-produzione: Il suono e il colore. Il primo, il suono, consiste di più fasi: la registrazione in studio della Voce Fuori Campo (Voice Over), la voce narrante dell'autore nel documentario; il disegno del suono e il mixaggio finale che comprende tutti suoni presenti e la traccia musicale, elaborata dal musicista Andrea Gerlando Terrana. La correzione colore (color correction), il secondo aspetto, è la veste “pittorica” del film. L'enfatizzazione del colore (anche nel caso del bianco e nero) nel cinema contribuisce a riempire di significati le visioni dell'autore, offrendo un percorso visivo originale e intimo. Non avendo al momento un produttore, nel caso in cui si raggiunga il budget fissato, pagati i costi di post-produzione, il sottoscritto autore/regista si riserverà una quota di compenso per il lavoro svolto da tre anni fino ad oggi, tra ricerca, scrittura, riprese, montaggio, spese di viaggi e altri aspetti produttivi.
Enrico Montalbano, nato ad Agrigento, vive e lavora a Palermo. Filmmaker, ha realizzato diversi reportage e documentari sulla tematica immigrazione.
Ha lavorato con altri filmmaker in diversi ruoli. Ha collaborato con TV nazionali e giornalisti europei.
Nota dell'autore: "Ho cominciato a filmare dopo anni di pittura, alla quale peraltro sono ritornato. L'immagine è sempre stata l'interesse centrale della mia vita.
Cos'è l'immagine, se non la proiezione di ciò che più desideriamo? Quando ho cominciato a filmare cresceva la questione immigrazione, tema oggi più che mai attuale. Non volevo solo essere un attivista, ma un media-attivista. Al G8 di Genova nel 2001 ho portato con me una piccola camera, ma ero più preso dai fatti che accadevano e impegnato a scappare continuamente in una città blindata. Ho filmato negli anni tanti sbarchi, arrivi di uomini donne e bambini, ma anche purtroppo di corpi senza vita; e poi i centri di permanenza per migranti, che altro non sono che luoghi di detenzione; ho raccontato il lavoro dei braccianti stranieri senza contratto e tutele, molti dei quali vivono in condizioni di schiavitù . Gran parte di questo materiale è diventato documentario.
Poi c'è un viaggio fisico e interiore che compio da sempre: andare nei territori, luoghi e scenari affascinanti in cui sopravvivono ruderi di casolari, borghi, villaggi abbandonati, segni, tracce di passato, alla ricerca dei “fantasmi della piccola storia quotidiana ”, perché non si tratta di passato, ma, al contrario, di voci che riemergono e che richiedono un tempo di ascolto e ritorni continui. Filmo e archivio in forma di appunti visivi.
Per me fare un film non è soltanto produrre un progetto ben definito, ma anche andare verso strade sconosciute con una visione nomade dell'esistenza, sperando sempre di perdermi, finendo in quella o quell'altra epoca, in un interminabile e meraviglioso viaggio.
Cos'è l'immagine, se non la proiezione di ciò che più desideriamo?"
Enrico Montalbano
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