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Molto spesso, immaginiamo il corpo come l’eterotopia per eccellenza: il luogo – cioè – prediletto e al contempo il confine dell’essere umano, il nostro “qui e ora”; limite invalicabile e immenso, non lascia spazio ad altro che non siano i bisogni puramente fisiologici, in una netta distinzione tra corpo e mente, com’è tradizione in Occidente, come se il nostro corpo dovesse automaticamente negare ogni utopia e viceversa.
L’utopia più potente in tal senso sembra essere costituita dall’anima: in virtù di questa entità liscia, luminosa, purificata, ecco che il nostro corpo scompare.
Se travalichiamo questa separazione, però, scopriamo che il corpo potrebbe essere, dal punto di vista non solo strettamente biologico ma anche filosofico, il tramite per un altrove. Anche il corpo, dopotutto, ha le sue zone fantastiche ed erogene, le sue cavità nascoste, le sue spiagge irraggiungibili.
Ed ecco allora che, per essere utopia, basta avere un corpo. A cominciare dalla pelle che abitiamo, che racconta chi siamo e ci presenta al mondo, magari diversamente da come vorremmo essere; c’è poi il sistema cardiocircolatorio, questa rubinetteria così perfetta da portare le sostanze fondamentali e l’ossigeno in ogni sua parte e questo – per noi – è la poesia, nella misura in cui il sangue contiene un codice preciso, che è leggibile e si fa corpo del testo, discorso infinito che non approda mai a un punto, ma si rigenera continuamente; l’ossatura, lo scheletro della poesia sta proprio nel suono che da essa si sprigiona e la scandisce. Questo discorso comincia a farsi troppo cerebrale: è il sistema nervoso centrale – questa testa che non riesco completamente a vedere, ma posso toccare – che immagina le utopie del futuro, nella rivolta del corpus in atto; la maschera, il tatuaggio, il trucco che rendono il corpo un modo per essere altro da noi. C’è poi l’intestino, l’apparato digerente, e le conseguenti scorie del sistema: il non integrato che va rimosso, evacuato, negato alla vista.
Corpo aperto, corpo chiuso, corpo utopico. Come vedrete nel nuovo numero, il corpo umano è l’attore principale di ogni utopia. Come scriveva Michel Foucault: «Il corpo è il punto zero del mondo; laddove le vie e gli spazi si incrociano, il corpo non è da nessuna parte: è al centro del mondo questo piccolo corpo utopico a partire dal quale sogno, parlo, procedo, immagino, percepisco le cose al loro posto e anche le nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino.»
Simone Biondo, This Body
Simone Kaev
106 pagine, colori, brossura grecata e fresata
Progetto in collaborazione con
Associazione Culturale Neutopia
Via Montanaro, 16
10154 – Torino
C. F. 97827030012
Partita Iva 11910340014
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