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Progetto Tayba

Una campagna di
Scuola di Pace "Vincenzo Buccelletti" del Comune di Senigallia

Contatti

Una campagna di
Scuola di Pace "Vincenzo Buccelletti" del Comune di Senigallia

Progetto Tayba

Progetto Tayba

Campagna terminata
  • Raccolti € 655,00
  • Sostenitori 6
  • Scadenza Terminato
  • Modalità Donazione semplice  
  • Categoria Comunità & sociale

Una campagna di 
Scuola di Pace "Vincenzo Buccelletti" del Comune di Senigallia

Contatti

Il Progetto

La "Casa Tayba per gli orfani" è una struttura di accoglienza per bambini siriani che scappano dalla guerra e che, immediatamente dopo aver attraversato il confine con la Turchia, possono fermarsi a Reyhanli ritrovare un po' di momenti sereni.

"Casa Tayba per gli orfani" ospita in maggioranza bambini siriani orfani di padre accompagnati dalla madre o dalla nonna e tutto ciò che trovano (vitto, alloggio, la possibilità di studiare e giocare...) viene fornito loro in maniera assolutamente gratuita.

"Casa Tayba" non ha alcun tipo di finanziamento fisso e nella struttura sono ancora molte le cose mancanti; per questo motivo i responsabili del centro sono in costante ricerca di contatti e supporto da chi senta su di sè tutta l'ingiustizia della situazione siriana e decida di unirsi a loro nel tentativo di accogliere al meglio questi bambini.

Una volta individuato il progetto, una delegazione della "Scuola di Pace Vincenzo Buccelletti del Comune di Senigallia" si è recata sul posto ed abbiamo individuato, insieme ai responsabili del centro, le priorità e gli obiettivi da raggiungere: il nostro traguardo più grande è quello di poter finanziare la creazione di un impianto di riscaldamento, per assicurare loro un adeguato riparo per l'inverno 2017 - 2018... Contiamo sul vostro supporto per raggiungerlo!!!

IMPORTANTE: per la donaziona usare la causale "orfani siriani - capitolo 260/1"

Di seguito, la toccante intervista ad una delle persone ospitate dal centro, realizzata dal nostro Giovanni Simone durante il viaggio a Reyhanli.

“Al-hamdu li-llah” dice la donna, finito il racconto: “Grazie a Dio, qui sto bene; almeno sono al sicuro”.

Siamo al primo piano dell’orfanotrofio, in una stanza dove di solito si fa lezione, e la donna che ha appena parlato è in fuga da una delle guerre più disastrose dalla seconda guerra mondiale, che ha fatto almeno 900 morti solo nel Dicembre del 2016, e milioni di rifugiati che hanno poca speranza di rivedere le proprie case.
Ma lei in questo momento non è un numero, non pensiamo nemmeno per un momento a inquadrarla in una cifra, in un’analisi: per noi è una persona colpita con una furia incredibile dalla devastazione e siamo lì per sentire la sua storia.
Ha lasciato Homs dopo due anni di bombardamenti, racconta, e si è riparata ad Idlib; ma lì non è andata meglio: è dovuta restarci per 3 anni durante i quali è morto suo fratello e alla fine, proprio durante ‘eid al-fitr (la grande festa che chiude il Ramadan) ha perso suo marito in un bombardamento, nel quale suo figlio è stato ferito.

Con lei, dopo altri 4 mesi ad Idlib, è riuscita a scappare in Turchia anche la moglie di suo fratello, che ci parla dopo di lei.

Ha perso suo marito quand’era incinta di un mese e mezzo.

La sensazione è quella di una gigantesca mannaia che si abbatte a caso senza lasciare scampo a nessuno.
Le due donne sono coperte da burqa, ma i loro indumenti lasciano intravedere gli occhi velati di lacrime, e la voce rotta le tradisce quando dicono “Al-hamdu li-llah, stiamo bene” ma sappiamo che quelle parole sono segno di una enorme fierezza, di un orgoglio irriducibile.
Alla fine del suo racconto la seconda donna si lascia sfuggire: “qua fa freddo, non c’è riscaldamento...” ma quando le chiediamo di cosa ha bisogno, si è già ricomposta: “Al-hamdu li-llah (sto bene)”.
Se stando seduti al caldo in un salotto il pensiero che in un paese del medio oriente possa fare freddo in un qualsiasi momento può sembrare assurdo, andando toccare con mano la situazione è molto diversa.
A Reyhanli, nel periodo in cui ci siamo stati (3-7 Gennaio), le temperature arrivano facilmente allo zero e vale lo stesso per il resto della Turchia, a eccezione delle zone costiere, dato che il paese è praticamente un grande altipiano semidesertico.

L’orfanotrofio, nonostante sia stato donato nuovo all’associazione che lo gestisce, non ha riscaldamento, come ci ha detto la donna: da 4 anni va avanti così e solo l’anno scorso sono state installate delle stufette elettriche, che però consumano troppa energia per i fondi dell’associazione.

Il responsabile della struttura è un ragazzo di 27 anni, con una lunga barba e una faccia innocente e curiosa.

Ci dice che all’inizio non avrebbe dovuto lavorare a tempo pieno li, ma poi c’era così tanto da fare che ormai vive nell’orfanotrofio; e si vede dall’ottimo rapporto che ha con i bambini.

In effetti il buon cuore dei responsabili sembra l’unica cosa che permette alla struttura di andare avanti dignitosamente: i fondi sono pochi e immaginare di passare quattro inverni senza riscaldamento per noi sarebbe semplicemente impossibile, ma l’affetto e i rapporti umani con i bambini sorreggono un palazzo in cui anche le camere delle famiglie sono incredibilmente spoglie, senza neanche un armadio, e dove le difficoltà sembrano insormontabili.

Commenti (2)

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  • ES
    Elena Forza ragazzi👍🏼
    • PS
      Paolo Speriamo bene.

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