Una campagna di
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Le veglie del Calibano è un’antologia di scritti, sia inediti sia pubblicati nel corso di dieci anni su un quotidiano pratese online con lo pseudonimo di Calibano e sui social network. Suddiviso in cinque parti, il libro presenta, con uno stile spesso graffiante e scherzoso, le impressioni di un toscano trapiantato in nordafrica di fronte a fatti e personaggi che hanno avuto un ruolo non secondario nei cambiamenti registrati in un decennio particolarmente movimentato nei due paesi centrali del Mediterraneo, con una panoramica ravvicinata sulla città di Prato e sulla figura di Roberto Cenni, che con il suo mandato di sindaco dal 2009 al 2014 ha interrotto l’egemonia ultrasessantennale di quello che l’autore ha battezzato il patto di titanio fra i partiti per la spartizione del potere.
La maggior parte di queste note sono state scritte di notte quando, alla fine di una giornata di lavoro, tento di rimettere ordine nei pensieri accatastati, e cerco di far rivivere nella memoria le sensazioni provate nell’assistere ad un episodio recente, vissuto in prima persona o raccontato dai giornali o dalla televisione. In alcuni casi ho riproposto articoli che scrissi dal 2005 al 2015 sul qutidiano online Pratoblog, nato per iniziativa dell’amico Umberto Cecchi, che firmavo con lo pseudonimo Calibano. Da qui il titolo di questa raccolta.
Un diario, dunque? No. Piuttosto un esame di coscienza, un tirar la somma dei conti con me stesso, cercando sempre, in quell’insieme complesso di cose e personaggi che formano la scena di un fatto, quei dettagli “di quinta” che, portati in primo piano, mi permettono di sorridere e di chiudere la giornata in pace con me stesso.
Un tempo in campagna, nelle case dei contadini, quando non c’erano né la televisione né i telefonini a colori con il wi-fi e il treggì, ci si trovava la sera a veglia, d’inverno sul “canto del foco” e d’estate nell’aia sotto il cielo stellato per parlare, cantare, giocare a carte o discutere di qualcosa che era successo. C’era chi sapeva a mente le poesie e chi sapeva improvvisare ottave, chi sapeva cantare gli stornelli e chi sapeva suonar la chitarra o la fisarminica. Ho avuto la fortuna di aver fatto in tempo a vivere questi momenti, prima che il “miracolo economico” facesse piazza pulita.
Oggi, paradossalmente, lo sviluppo tecnologico ci permette di rivivere, in qualche modo, la stessa esperienza. Non ci si ritrova più la sera sul “canto del foco” d’inverno o nell’aia sotto le stelle d’estate, ma a spippolare su uno smartphone o su un tablet o davanti a un monitor dove ci è permesso, in “tempo reale”, come si dice, di far due chiacchiere o di goderci in compagnia una canzonetta o un preludio di Bach su Youtube, di pubblicare un pensiero, una riflessione e di confrontarci con chi è d’accordo oppure no.
Queste note sono nate in questo modo dunque. Un po’ per dare forma ai pensieri quando tutto tace e il social network sonnecchia, e un po’ per metter qualcosa sulla “bacheca” per la sera dopo, quando gli amici hanno già arricchito la “nota” dei loro commenti, sempre graditi anche quando sono critici.
Ad un certo punto, dopo un po’ di anni, mi sono reso conto che c’era una traccia, una sorta di filo di Arianna grazie al quale queste “note” potevano essere rimesse insieme raggruppate in un modo tale da rappresentare percorsi diversi per formare un quadro.
Le ho dunque raccolte con pazienza e le ripresento in questo modo. Se siano un libro stampabile o no non saprei dirlo.
Mi aspetto che me lo dicano gli amici: è rivolgendomi alla loro attenzione che ho scritto, e spero che saranno loro a farmi sapere se è valsa o meno la pena di mettermi a fare questa cosa.
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