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24 maggio 1915: l’Italia entra in guerra. Reclute di diversa estrazione sociale raggiungono la loro destinazione, abbandonando le loro famiglie, il loro lavoro, le loro fidanzate: «Senti cara Ninetta cosa m’è capità: / m’è capità ’na carta che sono richiamà... / alpin mi tocca andar».
Moltissimi sono infatti Alpini. Un tenente – lo chiameranno ‘barba’ (cioè ‘zio’) Piero – accoglie le reclute: sono per lo più contadini, ma anche braccianti, muratori e carrettieri; e parlano il dialetto: tutti i dialetti d’Italia. Dopo i primi giorni – giorni di scoramento e di tentazione – incominciano le marce e gli assalti, tra La canzone del Monte Grappa e La leggenda del Piave. E gli Alpini muoiono («Tutti per uno / mano alla mano / dove si muore, discendiamo...») e muore il loro Capitano, che lascia il suo Testamento: «Il primo pezzo alla mia patria / che si ricordi del suo alpin...»
Ma la patria, almeno in un primo momento, non sembra ricordarsi dei suoi Alpini che marciano, combattono e muoiono sulle montagne e in trincea cantando i loro cori malinconici o fieri. Negli eleganti salotti delle città furoreggiano le canzoni musicate da Francesco Paolo Tosti sulle parole di Gabriele d’Annunzio: «L’alba separa dalla luce l’ombra, / e la mia voluttà dal mio desire...» Il 16 giugno del 1915 viene conquistato il Monte Nero, ma il prezzo è altissimo: «Per venirti a conquistare», canta l’alpino, «ho perduto tanti compagni / tutti giovani sui vent’anni / la sua vita non torna più».
Ma lontano, nel riposo dei salotti, introdotte dalle melodie di Skrjabin ancora risuonano le parole di d’Annunzio e la musica di Tosti: «La mia lunga romanza in mi minore / va per la calma della notte bianca...» Ed ecco, allora, una domanda angosciosa che torna sulle labbra di ‘barba’ Piero: «perchè, santo popolo d’Italia, / perchè più di tutti devi morire?» Una domanda a cui fa eco dolente la preghiera di Stelutis alpinis.
E ancora una Dichiarazione di ‘barba’ Piero: «Sotto, ragazzi, / se non si muore / si riposerà, allo spedale. / Ma se si dovesse morire / basterà un giorno di sole / e tutta Italia ricomincia a cantare». Sì, tutta Italia ricomincia a cantare: e con i Lieder dell’austriaco Franz Lehár (uno dei sudditi di ‘Ceco Bepo’ che gli Alpini combattono sulle Alpi) l’immane tragedia della guerra arriva anche nei salotti: «Là nel tramonto volano due cornacchie. / Quando arriva la morte mietitrice, per mietere noi?»
Sì, è tutta l’Italia, che canta: «Ora siamo soltanto italiani, ricordatevi bene», ammonisce ‘barba’ Piero. «È più essere italiano che esser veneto o piemontese. / Chi lo dimentica vuol dir che non se l’è meritato». E in conclusione, a liberatorio finale, le voci degli Alpini si uniscono a quelle sapienti di chi ha cantato Tosti e poi Lehár, quando a Trieste, finalmente italiana, sventola il tricolore: «Le ragazze di Trieste / cantan tutte con ardore: / “Oh Italia, oh Italia del mio cuore, / tu ci vieni a liberar!»
A cent’anni esatti da quel 24 maggio, questa storia sarà raccontata, dalla trincea, dal Coro Alpino Sestese diretto da Luca Boni; e, dal salotto, dalle voci di Anna Chierichetti e di Riccardo Botta, nonché dal pianoforte di Irene Veneziano, che li accompagnerà ed eseguirà anche brani di E. Granados e A.N. Skrjabin. Ai testi di Piero Jahier (Con me e con gli Alpini), di Emilio Lussu (Un anno sull’Altipiano) e di Gregorio Giungi (I diari della bicicletta), che s’intrecciano ai brani corali, solistici e strumentali, darà invece voce (recitante) Paolo Zoboli.
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