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L'ago nel pagliaio.

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ORNELLA MARIA COZZOLINO

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  • Modalità Donazione semplice  
  • Categoria Viaggi & avventure

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Il Progetto

LA STORIA

Alla fine degli anni '40, un giovane della provincia di Napoli si imbarcò, insieme ad altri mille disgraziati come lui, su una grossa nave, che nel giro di qualche mese sarebbe sbarcata a Buenos Aires. Scappava da un passato ingombrante, dal rumore delle bombe della Seconda Guerra Mondiale che ancora lo faceva svegliare di soprassalto la notte, con la fronte imperlata di sudore. Scappava con una piccola borsa che conteneva le poche cose che possedeva e qualche spicciolo, che suo padre era riuscito a mettere da parte e gli aveva regalato quella mattina, salutandolo sulla banchina. "Promettimi una cosa, però, figlio, Quando ti vorrai sposare, tornerai qua. La tua sposa e i tuoi figli devono essere italiani". "Prometto".

Nel 1957, parecchi anni dopo il suo arrivo in Argentina, il giovane si era sistemato: aveva iniziato come garzone in una bottega e poi, dopo quattro anni, era riuscito ad aprire la sua panetteria. Lavorava duramente, ma era felice della sua vita. Gli piaceva il profumo del pane appena sfornato ed amava quella vita scandita dai tempi del lievito. Una mattina di maggio, gli arrivò una lettera dall'Italia, nella quale sua madre gli diceva che suo padre era gravemente malato. Il giovane uomo raccolse in fretta le sue cose, mise un grosso catenaccio alla sua panetteria e si avviò allo stesso porto da cui era sbarcato undici anni prima. Non saluto nessuno. Aveva una promessa da mantenere.

Questa storia noi la conosciamo da sempre, ci veniva raccontata da nostra nonna, la donna italiana che il giovane sposò una volta tornato in patria, per onorare la promessa fatta al vecchio padre. Ebbero una vita felice insieme: due figli, un cane ed una piccola panetteria in piazza. "Faceva i panini più buoni del paese" ci diceva sempre nonna, con una punta di orgoglio. Sembravano destinati ad una vecchiaia serena, ma il fato aveva in serbo altro, per loro: nel 1982, il secondogenito della coppia, Franco, morì in un incidente d'auto, ad appena 18 anni. Il nonno non resse a quel dolore, e pochi mesi dopo si spense, a 56 anni, lasciando soli sua moglie ed il primo dei suoi figli, Nando. Nostro padre.

Da allora sono passati più di 30 anni, nostro padre e nostra nonna sono riusciti a rimettere insieme i cocci della loro famiglia, decimata dalle disgrazie, e sono andati avanti. Papà si è laureato, ha inizato a lavorare e si è sposato. "Voglio una famiglia, grande, mamma. Voglio un sacco di bambini che ridano ed urlino, non voglio più sentire silenzio in queste stanze" diceva sempre papà alla nonna. Così, uno dopo l'altro siamo arrivati noi quattro, e la casa non ha mai smesso di essere rumorosa. Anche troppo, a volte.

A dicembre dello scorso anno, da un letto del reparto oncologico dell'ospedale Ascalesi, la nonna ci ha chiesto di rileggerle un'ultima volta le lettere d'amore che le scriveva il nonno. Non ce le aveva mai fatte toccare, ma non aveva la forza di leggerle da sola, quindi chiese a mia sorella di farlo per lei. Nella scatola di latta che conteneva foto e ricordi della loro vita insieme, trovammo anche alcune lettere in spagnolo, datate 1952 e firmate da una tale Lucìa. Quando chiedemmo a mia nonna di cosa si trattasse, lei rispose che erano solo lettere di alcune vecchie conoscenze argentine del nonno. Così, nei tristi giorni in cui nostra nonna si stava spegnendo, confortata dall'amore dei suoi cari e dalla certezza che suo marito e suo figlio la aspettassero in un aldilà migliore, noi portammo le lettere ad una professoressa di spagnolo. Scoprimmo qualcosa di incredibile: non erano lettere di vecchi amici, ma di una compagna, un'amante, una moglie, una madre. Scoprimmo che negli otto anni vissuti in Argentina, nostro nonno aveva messo su famiglia con una donna, che con lei era stato felice e che l'aveva amata, ma che il richiamo di quella promessa fatta un decennio prima ad un oceano di distanza, era stato più forte: quella notte di maggio aveva lasciato il letto in cui dormivano sua moglie e sua figlia ed era tornato in Italia.

Nostra nonna si spense nel gennaio del 2013, senza che nessuno di noi avesse osato turbare l'incrollabile certezza di essere stata l'unico amore della vita di suo marito. Mio padre, da allora, è rimasto solo: tutta la sua famiglia di origine - suo fratello, suo padre, sua madre - è scomparsa e lui ha vissuto l'età adulta con la consapevolezza di non aver nessuno su cui contare, ma tanti che contassero su di lui. Dal dicembre del 2012, però, sappiamo che c'è qualcuno, da qualche parte nel mondo, che ha ancora un legame con lui; una donna, una sorella, con i suoi stessi occhi magari, o con la sua stessa forma di labbra. Lui non ne parla quasi mai, ma sappiamo che ci pensa costantemente. A volte lo troviamo assorto nei suoi pensieri, che accarezza delicatamente la grafia di Lucìa, quei ghirigori nervosi che implorano il suo uomo di tornare a casa. 

L'idea di questo viaggio ha cominciato a frullarmi in testa due anni fa. Ripercorrere lo stesso tragitto di questo nonno che non ho mai conosciuto, fino ad una terra lontana; e farlo con i miei fratelli, il sangue del suo sangue, gli unici eredi di questa stirpe sfortunata, che provano a ricucire questa frattura, larga un oceano, fra due famiglie, fra un fratello ed una sorella che non si sono mai incontrati. Sento di doverlo a mio padre, che ha riempito di rumori la sua casa, ma che non è riuscito a riempire il suo cuore. Sento di doverlo a mia zia, questa mia impalpabile zia sudamericana, che immagino un po' malinconica, con gli occhi scuri ed il naso dritto, come me. Ma soprattutto, sento di doverlo a mio nonno, questo signore baffuto che mi sorride dalle foto, con un'anima spezzata, mezza qui e mezza oltre mare.

IL PROGETTO

L'idea è quella di raccogliere abbastanza fondi per affrontare l'acquisto di 4 biglietti aerei per Buenos Aires per me, Ornella, e per i miei 3 fratelli, Alessandra, Francesco e Federica. Vorremmo partire all'inizio di agosto ed iniziare le ricerche della figlia di nostro nonno, partendo dai registri degli sbarchi dei migranti, conservati presso la Dirección Nacional de Población y Migraciones. Non abbiamo certezze circa il nome di nostra zia, ma sappiamo con certezza che a Rosario vive il figlio di un vecchio dipendente della panetteria del nonno, che dovrebbe chiamarsi Juan Ignacio Scarpato. Speriamo, con queste poche informazioni e con tre mesi di tempo a disposizione, di riuscire a trovare nostra zia. Sarà come cercare un ago in un pagliaio? Forse, ma noi abbiamo occhi buoni e mille ottimi motivi per trovarlo.

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