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DI MARI E TEMPESTE

Una campagna di
LUCIANO SARTIRANA

Contatti

Una campagna di
LUCIANO SARTIRANA

DI MARI E TEMPESTE

DI MARI E TEMPESTE

Campagna terminata
  • Raccolti € 130,00
  • Sostenitori 7
  • Scadenza Terminato
  • Modalità Raccogli tutto  
  • Categoria Libri & editoria

Una campagna di 
LUCIANO SARTIRANA

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Il Progetto

Introduzione, di Valentina Fortichiari
Mi è capitato di recente di vedere Le meraviglie del mare, film realizzato da Jean-Michel Cousteau (figlio del grande Jacques-Yves), accompagnato dai suoi figli: tre generazioni di esploratori marini. L’ora era insolita e la sala cinematografica deserta: al centro della platea, in mezzo ai sedili che avrei preferito non vedere tristemente vuoti, ho avuto tuttavia la libertà di scattare foto, prendere appunti, godermi in solitudine e in perfetto silenzio, completamente dimentica della realtà, quel tempo dedicato alla discesa negli abissi. In silenzio, ho detto, anche se il mare non è mai muto, ma popolato da sfrigolii, fruscii, respiri, sospiri, gorgoglii. La voce narrante era suadente e accompagnava le immagini, eppure sarebbe bastato divorare ogni sequenza con i soli occhi, abbandonandosi al morbido fluttuare degli esseri viventi, vegetali e animali.

Così, lungo il viaggio dalle isole Fiji alla California, dall’isola di San Josè nel golfo del Messico, a Nassau, lungo le barriere coralline dove si stabiliscono alleanze simbiotiche per sopravvivere, tra calamari, cactus marini, squali, cernie, murene, mangrovie gigantesche, ho imparato che la parola plancton significa “errabondo”, vale a dire il cibo fluttuante di cui molte specie marine si nutrono senza la minima fatica, semplicemente nuotando a fauci spalancate. Ho anche appreso che il pesce pietra, quasi irriconoscibile perché abile nel mimetizzarsi, è velenosissimo; che il polpo sa cambiare colore e inglobarsi all’ambiente, sa riconoscere i volti, pensare, e persino affezionarsi (il vecchio capostipite dei Cousteau lo aveva definito “la soffice intelligenza del mare”); che lo squalo martello non è l’unico degli esseri marini a rischiare l’estinzione, se l’uomo non la smetterà di gettare rifiuti in mare, di inquinare, provocando il riscaldamento abnorme delle acque, e non combatterà il fenomeno esiziale dell’acidificazione.

Più si scende nei fondali, più le immagini in 3D di questo film, di straordinaria limpidezza, fanno scoprire luoghi misteriosi, zone di oscurità assoluta dove i pesci sfoggiano una miriade di colori impensabili a quelle profondità. E viene da pensare, come il padre Jean-Michel Cousteau fa notare ai figli, che gli uomini hanno camminato più sulla luna e su pianeti come Marte, che in fondo al mare, ad oggi ancora in gran parte da conoscere.

L’acqua possiede una memoria? mi domandavo. Certamente la memoria dell’acqua è qualcosa di completamente differente dalla memoria umana. Per esempio nell’acqua – mentre si nuota – nulla può imprimere forme o segni del proprio passaggio. L’acqua è impermanente, e dunque, quando ci immergiamo, non siamo forse un nulla che vi trascorre senza lasciare traccia, acqua dentro acqua? È questo che rende tanto irresistibile imitare dagli animali marini quel contatto, quell’abbraccio, quei movimenti sinuosi per domare le onde e avanzare lentamente, aprendosi un varco con braccia e gambe che paiono pinne?

Nuotare contiene in sé il prodigio di un’arte che ha a che fare con il pensiero, la meditazione, il raccoglimento, l’ascolto, il canto di sirene, l’estasi del sogno. Quando si parla di mare, si va alla ricerca di parole che evocano similitudini, per esempio questa assai curiosa: “il mare è un cane giocherellone, buono se non lo temi”. La traggo da uno dei racconti di questa singolare raccolta. Sono voci giovani che hanno provato a scrivere sotto la suggestione “di mari e di tempeste” (titolo bellissimo). Il mare è gioco, è pace, a volte “racconta e canta”, “respira in migliaia di creste mormoranti”. Altre volte  fa paura, “è un tipaccio poco raccomandabile”, “è un animale bastardo”, “è una tavola nera”, addirittura “ha la consistenza dei sogni morti”. Il mare non può parlare ma comunica, può diventare un amico, compagno di nuotate, destinatario di speranze e messaggi in bottiglia; condivide l’umore salino delle lacrime, ma insieme a volte fa da sfondo silenzioso a tragedie, orrore, morte, addii, violenza.

Ognuno di questi racconti ha un’identità precisa, esibisce una personalità già sicura di sé, capace di maneggiare la scrittura per comunicare idee, suggestioni, ricordi d’infanzia, a volte rabbia e crudeltà che hanno bisogno di essere brutalmente confessate. Tutti gli autori, più o meno esordienti, hanno forse provato a imitare “la donna di vento e di mare”, la donna che scende morbidamente in acqua, assistita dal suo angelo custode, quasi che il mare possieda il garbo femminile di chi accoglie e tiene in sé, con sé, persino un mare apparentemente ostile. Perché un mare in tempesta (insieme alle tempeste che a volte squassano le nostre anime) è davvero temibile, tanto quanto i pericoli, gli agguati, che a volte nasconde tra le onde. Così almeno lo vivono le specie marine più fragili. Avreste mai pensato che una povera sogliola possa imparare a farsi piatta sulla sabbia del fondale, ma di più che – per nascondersi ai predatori e salvare la pelle – abbia saputo inventarsi un mimetismo che pare un’opera d’arte alla Picasso? Ebbene sì: un occhio è migrato dall’altra parte del suo corpo, affiancandosi all’altro, così l’animale può tenerli spalancati e guardare, standosene acquattata e semicoperta dalla sabbia, con quel suo viso sghembo. Dei pesci che stanno sul fondo a guardare ciò che hanno intorno, parla anche Ivano Fossati in una sua canzone (“Baci e saluti”): mi ha fatto notare tutto questo – l’arte della sogliola e la canzone – l’amico Carlo Grande che ne ha scritto sulla Stampa.

Ecco, stare a guardare da angoli invisibili ai più può a volte tornare utile nell’esistenza quotidiana. Non è un invito a non prendere parte attiva alla realtà che ci circonda, semmai è un consiglio alla prudenza, a pensare prima di agire, ad ascoltare se stessi, nella vita e soprattutto nella scrittura. Ad essere tutto occhi come la sogliola, e tutto orecchi, senza perdersi una virgola, a praticare quel silenzio di riflessione, di meditazione che precede la parola. Ecco, stare in acqua, essere acqua, essere sogliola, ippocampo oppure polpo, “la soffice intelligenza del mare”, a volte salva la vita, quantomeno la rende più felice. Siate acqua!

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