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Nel cuore del porto di Genova, dove ogni giorno si muovono merci da ogni angolo del globo, si nasconde una storia di coraggio e ribellione. ARTICOLO 11 ci trascina qui, tra le banchine, dove i portuali si oppongono con determinazione al transito delle navi cariche di armi.
È la realtà che i portuali genovesi affrontano ogni giorno. Sanno che le armi che caricano e scaricano nei nostri terminal portano distruzione in terre lontane.
Con azioni decise alcuni sfidano questo sistema che alimenta la violenza globale. È il 2019 quando parte la battaglia del CALP – il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali - contro le navi della compagnia Bahri impegnate in una gigantesca operazione di trasferimento di tecnologia militare verso Riyad.

Fermare l’ingranaggio non è semplice. Per passare nei nostri porti queste navi violano una legge della Repubblica e un Trattato internazionale. Ma un conto sono le leggi e un altro gli affari. Quanto vale il commercio di armi per il nostro Paese? E per l’Europa? Attraverso interviste con esperti di geopolitica e analisti viene tracciato un quadro chiaro dell'impatto di questo commercio e degli interessi nazionali e internazionali dei broker della morte.

Le immagini delle proteste si intrecciano con interviste ai membri del Calp di Genova, del GAP di Livorno, di USB a Trieste, e di Weapon Watch . Le loro testimonianze svelano le motivazioni profonde di questa lotta e le sfide affrontate, come le accuse di associazione a delinquere poi archiviate. Un fatto che testimonia il clima di repressione che cala quando si parla di armi e armamenti. Trattati come terroristi, svegliati all’alba dalle perquisizioni, i portuali non cedono. La loro resistenza ispira altri lavoratori, come quelli del Pireo di Atene, creando una rete internazionale di solidarietà.

La narrazione culmina con un messaggio di speranza: i portuali di Genova continuano la loro battaglia, sognando un futuro in cui i porti non saranno più varchi di morte e distruzione.
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