Una campagna di
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L’idea del cortometraggio La via del ritorno nasce da diverse esigenze. La più importante è quella di raccontare un mondo che mi appartiene, luoghi, volti, tradizioni, che sono parte della mia vita poiché i miei bisnonni, nonni, zii, cugini erano e sono pescatori. Grazie a un diario di viaggio scritto dal fratello di mio nonno ho potuto conoscere avventure, aneddoti, difficoltà dei buoni e dei cattivi giorni di pesca. In uno di quei brutti giorni alcuni dei miei parenti non hanno mai fatto ritorno dal mare. Attraverso queste vicende e foto di famiglia ho potuto dare dei volti a quei personaggi citati nei racconti di mio padre che poi ho raccontato nei miei precedenti cortometraggi (Marsaharillah e Il prossimo inverno), dove i protagonisti vivono il disagio legato alla perdita della loro identità di pescatori, sopraffatti dal mutamento della società.
In La via del ritorno racconto i disagi che si intrecciano tra i protagonisti: quelli dei pescatori di un borgo di mare e quelli degli immigrati che vi arrivano dal Maghreb. La vicenda è ambientata nel Sud Est della Sicilia a Marina di Ragusa, che è il luogo dove sono nato e cresciuto. La Sicilia è perennemente teatro di sbarchi clandestini e lo scenario dove è ambientata questa storia è in sintonia con le emozioni e i ricordi che mi porto dentro da quando sono piccolo: ho visto barconi alla deriva, e - mentre andavo a scuola - uomini appena sbracati in fuga per le campagne. Erano i primi anni novanta e il fenomeno non aveva ancora risonanza nazionale: questi fatti avvenivano sotto gli occhi di noi abitanti del luogo ma anche delle forze dell’ordine, tutti eravamo spaesati, impauriti, incuriositi, colpiti da questi arrivi. Accogliere era istintivo, nonostante la diffidenza. E fin da bambino mi ha sempre colpito vedere lavorare insieme i miei compaesani con i forestieri che avevano lasciato il loro paese per raggiungere l’Italia, fermandosi di fatto nel piccolo paese siciliano più a sud di Tunisi. Qui lingue, dialetti, culture e razze si mescolavano, perfino nei loro volti: gli stessi colori della pelle, gli stessi lineamenti del viso, lo stesso dolore che traspariva dagli sguardi. Tra le difficoltà e le criticità legate a questa improvvisa convivenza ho potuto conoscere da vicino le storie di questi uomini arrivati dall’altra parte del mare con i loro sogni. In particolare alle partite di calcio tra i miei amici e gli immigrati, improvvisando un campo da gioco sulla spiaggia, ho attribuito un significato importante, una forma di contrasto ma anche di benvenuto. Le ondate migratorie di quegli anni, quando le telecamere e i riflettori erano spenti, avevano la caratteristica di avere come protagonisti esclusivamente gli uomini. Non arrivavano né donne né bambini. La conseguenza era che le piazze e le vie del paese si riempivano di queste figure “diverse”, da un lato accolte ma dall’altro tenute ad una certa distanza, soprattutto dalle ragazze e dalle donne del borgo. Questi fatti hanno indotto in me la necessità di raccontare storie di uomini di mare che pescavano uomini nel mare, non senza contrasti e criticità.
Nelle riprese de “La via del ritorno” saranno coinvolti pescatori reali, con i loro volti segnati dal sole, e veri immigrati. Intendo raccontare la poesia dei colori, dei paesaggi, delle culture differenti che si incontrano, che si scontrano e che cercano di convivere sullo sfondo di una Sicilia dalle sfumature calde e accese fino ad arrivare alle imponenti scogliere dell’arcipelago maltese. Intendo utilizzare il linguaggio del neo-realismo italiano (ispirandomi agli eredi del neo-realismo Vittorio De Seta, Pasquale Scimeca, Gillo Pontecorvo) alleggerendo i toni attraverso un’atmosfera onirica ed avventurosa, animata da figure non convenzionali come quella del personaggio enigmatico Kapturak, il contrabbandiere delle “anime disperse” nel mare: suo è il compito di condurre un gruppo di nordafricani dispersi, verso un luogo dove “buongiorno vuol dire veramente buongiorno”. Così i temi attualissimi degli sbarchi clandestini, dell'immigrazione, della diffidenza, della sofferenza, della disperazione si delineano, attraverso questo progetto, con toni sospesi tra quello del dramma mitigato dalla dimensione onirica e quello del dolore raddolcito dal sogno.
Antonio Carnemolla
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