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Il primo amore è il più doloroso, perché carico di sogni e aspettative che una volta calpestate non ritornano come prima.
“La pena” racconta di questo, come dell’ansia di “spreco” di chi davanti a sé ha un’intera vita: avere diciassette anni può essere totalizzante, il desiderio di dimostrare al mondo il prima possibile come si è fatti e quanto si vale. Da ragazzi l’età attenua le colpe, le identità sono smussate, viene permessa la superficialità perché si pensa che prima o poi si maturi, si cambi: ma non per tutti è così.
Il tempo è la materia filmica e protagonista in quest’opera dove, al racconto dell’amore giovanile, si affianca il tema degli anni che passano, della forza dei legami, delle ripetizioni narcisistiche e del corpo femminile. Il cortometraggio ha un budget non eccessivo: una sola location interna, un motorino, quattro attori e due figurazioni: nella sua semplicità si accende in una dinamica surreale ma chiara, dove la versione adulta di Massimo non verrà mai mostrata in volto nella macchina da presa, contagiando lo spettatore dell’inquietudine dei protagonisti.
Il corto si presta a valorizzare la natura di Pesaro nel suo bacio tra mare e colline: un posto indubbiamente “speciale” e valorizzato in un’opera sentita e struggente. Il pubblico ideale dell’opera è quello di chi si è lasciato la giovinezza alle spalle quel tanto da poterla razionalizzare ma quel poco da poter immedesimarsi nei suoi personaggi: i giovani tra i 20 e i 40 anni. Le donne in particolare, appassionate di storie romantiche che sfidano il tempo, potranno rimanere colpite da questo racconto breve e malinconico.
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